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domenica 22 marzo 2009

[Cinema] In The Name of The King


Farmer (Jason Sthatam) è all’apparenza un semplice contadino, dedito soltanto alla cura della terra e della sua famiglia, composta dalla splendida moglie Solana (Claire Forlani) e dal loro vispo figlioletto. Un infausto dì però il suo idillio rurale viene bruscamente infranto dall’arrivo dei Krug, decerebrati umanoidi al servizio del potente mago Gillian (Ray Liotta), intenzionato a sovvertire la reggenza di re Konrad (Burt Reynolds) ed estendere il suo oscuro giogo su tutto il mondo conosciuto. Messo alle strette, il nostro eroe sarà così costretto ad accantonare la zappa e a passare alle maniera forti imbarcandosi, accompagnato nell’impresa da una pletora di insignificanti e dimenticabili figuri, in un avventura ricca di clichè e sbadigli fino all’immancabile e liberatorio duello finale.


Uwe Boll ha indubbiamente un dono. O perlomeno possiede un abilità unica del suo genere. Non deve essere stato facile infatti, con 60 milioni di budget alle spalle e un cast di assoluto livello a disposizione, riuscire a sfornare un film di tale insipienza e banalità come questo In The Name of The King. Il teutonico visionario però, tenendo fede alla nomea di peggior regista del mondo, titolo ormai riconosciutogli all’unanimità dalla critica specializzata, è riuscito anche questa volta a superare se stesso, sfornando una pellicola degna del miglior Fantaghirò d’annata, riportando il genere fantasy (portato da Peter Jackson a livelli di assoluta eccellenza) indietro di una ventina di anni. Sono tante e tali le storture presenti nell’orrorifica pellicola di Boll che farne l’elenco sarebbe proibitivo quanto superfluo. Dalla pedestre incuria risposta nei costumi e negli effetti speciali, con i Krug ad essere usciti da una puntata a caso dei Power Rangers, alla totale mancanza di coerenza storica e stilistica, con ninja ad appaiarsi a guerrieri a cavallo e duelli all’arma bianca a lasciare il posto ad improbabili mosse di kung-fu ed imbarazzanti quanto deprimenti calci volanti. E’ un circo quello messo in piedi dal regista tedesco che lascia a bocca aperta per l’opprimente pressappochismo e l’offensiva stupidità reiterata senza soluzione di continuità per tutti 124 minuti di durata della pellicola. Un B-Movie in piena regola, sul quale però pesa l’abnorme aggravante di uno spropositato budget impiegato non si sa come e la pessima gestione di un gruppo di attori di sicuro e accertato talento.


Uwe boll è ormai entrato nella leggenda. Come Re Mida nell’antichità trasformava tutto quello su cui posava mano in luccicante oro, il teutonico film maker ha invece dalla sua la meno regale abilità di trasformare ogni cosa sulla quale lavora in un composto organico di non grandissima nomea. L’augurio e che qualcuno prima o poi si accorga di questo equivoco e metta questo regista al posto che gli compete. Ovvero in platea.

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