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martedì 25 marzo 2008

[360] Eternal Sonata


Parigi. 17 Ottobre 1849. Disteso nel letto, Frederic Francois Chopin sta vivendo le ultime ore della sua giovane vita, assistito amorevolmente dalla madre e dalla sorella Ludwika. Ma mentre il suo fisico debole e provato cede sotto i colpi della tubercolosi, la mente di Chopin vaga e crea un mondo fantastico, popolato da strani personaggi e maestosi paesaggi, ricco di magia e oppresso da un malvagio Conte smanioso di conquiste. Chopin si immerge estasiato in questo scenario onirico: ma è davvero tutto un sogno, o forse l'universo nel quale ora si trova è la vera realtà?
Queste sono le premesse del nuovo rpg dei ragazzi di Tri-Crescendo, ex-costola dei ben più famosi Tri-Ace (Star Ocean, Valkyrie Profile), che dopo il discreto successo ottenuto con i due Baiten Kaitos tornano con una nuova originale avventura sempre sotto etichetta Namco. Un rpg decisamente atipico nei contenuti, con una trama tanto ambiziosa quanto bizzarra e confusa, con un livello artistico eccellente al quale fa da contraltare un impianto di gioco eccessivamente semplicistico. Ma cerchiamo di andare con ordine.
L'universo creato (o forse no) dalla mente di Chopin corre un grave pericolo. Il Conte Valzer, signore di Forte, ha preso a produrre in massa la polvere minerale, speciale unguento capace di guarire ogni malanno e acciacco, ma dotato anche dello spiacevole effetto collaterale di trasformare chi ne abusa in una marionetta priva di volontà. Attraverso questo sistema Valzer ha in mente di creare un invicibile esercito di automi e di dichiarare guerra ai suoi rivali di sempre, il regno di Barocco governato dall'inoffensivo Principe Crescendo. In un simile contesto vive Polka, una ragazzina di 14 anni in grado di usare la magia e per questo destinata a morire entro breve (la magia in questo mondo è sintomo di una malattia incurabile), alla quale si andranno ad aggiungere Allegretto e Beat, due bricconcelli di strada, e un nutrito numero di altri personaggi, tra i quali figurano il leader e alcuni esponenti del gruppo rivoluzionario Andantino, il cui obiettivo e spezzare il crudele giogo di Valzer.


Tutta la narrazione risulta essere divisa in capitoli, ognungo denominato secondo un opera di Chopin e accompagnato da alcuni lunghi resoconti sulla vita e le composizioni del celebre pianista. Ed è proprio nel cuore della sua premessa che la trama di Eternal Sonata vacilla paurosamente. Nonostamente infatti tutto il mondo sia basato sulla musica, dai nomi delle persone a quelli di luoghi e città, le connessioni tra la vita di Chopin e l'effettiva trama del gioco sono praticamente nulle, tanto che al posto del compositore polacco si sarebbe potuto prendere un altro artista qualunque senza che la narrazione ne venisse infinciata in alcun modo. La stessa guerra tra Barocco e Forte non offre alcuno spunto degno di nota, anzi presenta momenti di grande banalità, e lo stesso si può dire delle motivazioni e background dei vari personaggi, a volte addirittura del tutto assenti. Persino il tema sogno/realtà, di per sè interessantissimo, viene accantonato per buona parte dello svolgimento della trama, e ritorna soltanto nelle battute finali in maniera confusa e sconclusionata. Infine, impossibile non menzionare la lunga durata delle scene d'intermezzo che, per quanto siano ottimamente realizzate, potrebbero risultare difficili da digerire per chi non ama passare decine di minuti senza metter mano sul pad.


Se quindi, per quanto riguarda l'intreccio narrativo, il pollice è decisamente verso (verso il basso si intende), la situazione migliora un pochino passando in esame il sistema di combattimento. Basato interamente sull'alternanza luce - ombra (ispirato probabilmente ai tasti bianchi e neri del pianoforte), i nostri eroi infatti avranno accesso a diverse abilità a seconda del loro posizionamento: trovandosi in piena luce sarà infatti possibile ad esempio con Polka curare i proprio compagni, mentre sotto l'ombra di un albero invece si potrà scagliare una potente cometa incantata. Luce ed ombra non influenzano soltanto le capacità della nostra squadra, ma alterano sensibilmente anche la fisionomia e le abilità dei nostri nemici, introducendo un originale e dinamico elemento strategico. Il tutto viene gestito con una commistione tra un sistema a turni e uno in real time, con ogni personaggio ad avere a disposizione cinque secondi durante i quali potrà muoversi liberamente sul campo di battaglia, attaccare, usare oggetti o eseguire una mossa speciale: inoltre, proseguendo nell'avventura, verranno introdotte varie aggiunte atte ad arricchire e ad aggiungere profondità all'impianto di gioco, come ad esempio la possibilità di concatenare più attacchi speciali.


Ed è un peccato che si possa godere del battle system "completo" solo ormai a gioco prossimo alla conclusione: una scelta questa davvero di difficile comprensione, che lascia in questo modo il giocatore alle prese con un sistema di combattimento eccessivamente semplicistico per buona parte del tempo, al quale va aggiunta l'aggravante di un livello di sfida mai impegnativo se non in rarissimi casi. Discorso simile può essere fatto per la personalizzazione del nostro party, in vero assai ridotta, che si riassume nella scelta dell'arma e dell'accessorio da indossare e delle skill da inserire negli slot (prima uno, poi in seguito due) luce ed ombra. Se a tutto quanto detto fin'ora si aggiunge un impianto di gioco fortemente lineare e una longevità abbastanza ridotta per il genere d'appartenenza (2o ore circa escluse le side quest), questa recensione parebbe quindi una sonora stroncatura, ma per sua fortuna Eternal Sonata qualche buona freccia al suo arco ce l'ha, e queste sono la realizzazione tecnica e il livello artistico generale del prodotto. Graficamente infatti il titolo Namco presenta probabilmente il miglior Cell Shading visto fin'ora su console, con personaggi stile Anime estremamente vivi ed espressivi, graziati anche da un character design gradevole e colorato. A questo si aggiungono degli scenari mozzafiato, che vanno da meravigliose distese di vividi fiori notturni alle atmosfere candide ed innevate della città di Barocco, visioni tanto belle che più di una volta si rimarrà incantati dal maestoso trionfo di colori e sensazioni messo in scena sul nostro teleschermo.


Di pari passo segue l'accompagnamento sonoro: oltre a potersi fregiare di alcuni brani dello stesso Chopin, Hiroya Hatsushiba e compagni mostrano tutto il loro background da musicisti creando una soundtrack costellata da composizioni di rara dolcezza e poesia, solleticando corde profonde e andandosi a sposare perfettamente con le morbide tinte pastello del comparto grafico. Dal punto di vista artistico Eternal Sonata risulta quindi essere un piccolo gioiello, un raffinato e fragile diamande di rara brillantezza. Restano però, e ne inficiano pesantemente il valore complessivo, tutti quei problemi a livello di struttura di gioco e narrazione precedentemente elencati, i quali irrimediabilmente portano a ridimensionare quello che poteva essere un inaspettato capolavoro in un titolo solamente discreto.

giovedì 20 marzo 2008

[Cinema] Cover Boy


Ioan (Eduard Gabia) è un ventenne rumeno al quale, quand’era ancora solo un bambino, gli scontri avvenuti durante la caduta del regime comunista di Ceausescu hanno portato via il padre e che ora, come tanti suoi coetanei, insegue il sogno del ricco occidente partendo per l’Italia. L’amico con cui intraprende il suo viaggio viene però bloccato alla frontiera e Joan arriva a Roma senza conoscere niente e nessuno; non avendo alcun posto dove andare, passa le notti dormendo a Termini ed è proprio qui che conosce Michele (Luca Lionello), inserviente precario quarantenne con il quale stringe in breve tempo una salda e profonda amicizia. Insieme vivranno sotto il giogo di una disillusa padrona di casa (Luciana Littizzetto) in un fatiscente appartamento e, ognuno a modo suo, faranno i conti con la realtà lavorativa italiana nell’era della globalizzazione.

L’opera seconda di Carmine Amoroso, già scrittore e regista dell’audace Come tu mi vuoi, è una feroce e spietata critica al mito del neoliberismo e della flessibilità del mercato del lavoro, con particolare riguardo alla realtà sociale del nostro paese, dipinta con estrema durezza e verosimiglianza. Attraverso le vicissitudini del personaggio di Michele trova sfogo infatti il grido di dolore dei cosiddetti precari, persone costrette a lottare quotidianamente per arrivare alla fine della giornata e private completamente del loro futuro. Perché la precarizzazione del lavoro riduce l’individuo a pura merce di scambio, espropriandolo della sua dignità, isolandolo in una gabbia di tetro squallore negando così ogni possibilità di crearsi degli affetti stabili e una famiglia. Uno stato questo di barbarie dal quale l’amico Ioan sembrerebbe tirarsi fuori tramite l’incontro con una famosa fotografa (Chiara Caselli), che lo sceglie come suo modello e lo porta con se a Milano. E qui, paradossalmente, il quadro si fa ancora più desolante, perché se da un lato si lotta per il puro sostentamento, dall’altra il denaro fa scempio di ogni valore, con l’immagine e l’apparenza a diventare i vessilli di una classe benestante completamente autoreferenziale.

La creatura di Amoroso mira quindi in alto, ma ha gambe troppo fragili per sostenere appieno il peso della sua ambizione. Il film soffre di evidenti problemi di sceneggiatura, probabilmente figli del lungo travaglio e dei numerosi problemi economici in cui è dovuta incappare la produzione, che finiscono irrimediabilmente per inficiarne la compattezza e la coerenza interna. L’interesse di natura omosessuale nutrito da Michele nei confronti del giovane rumeno è solo abbozzato e non trova mai un vero posto nello svolgimento della trama, con le scene di nudo integrale maschile a risultare forzate e artificiose. Anche il pretesto con cui ci viene mostrata l’aberrante vacuità della Milano bene, l’incontro e la breve relazione tra Joan e la fotografa, è assai poco credibile e finisce per tagliare fuori uno dei cardini portanti della pellicola, il personaggio del bravissimo Luca Lionello.

Cover Boy è vittima dello stesso sistema da esso denunciato. Un film d’autore martoriato da tagli di budget e ostracismo dei distributori, ma anche orgogliosamente indipendente e per certi versi innovativo (tutto il film è girato in HDV). Lungi dall’essere perfetto quindi, il film di Carmine Amoroso esplora tematiche raramente trattate nel cinema, restando pertanto una visione consigliata a chi volesse farsi un’idea dello stato nel quale versa il nostro paese.

giovedì 6 marzo 2008

[360] Virtua Fighter 5


In un periodo in cui l'avanzamento tecnologica sembra sempre di più portare i videogiochi di nuova generazione a strizzare l'occhiolino al suo pubblico mediante spettacolari effetti visivi e un'impostazione cinematografica, è raro trovare un titolo che ancora oggi basi tutto il suo appeal sulla pura e semplice giocabilità. Eppure è esattamente questo il caso di Virtua Fighter 5, ultima fatica del team Sega AM 2 e capitolo più recente di una saga ormai nata nel remoto 1993, e che da allora ha portato avanti il suo credo senza mai cedere ad alcun ripensamento. E' bene difatti chiarire subito un punto: il picchiaduro Sega è un titolo decisamente complesso e profondo, dotato di un sistema di combattimento estremamente tecnico ed appagante, ma che indubbiamente potrebbe risultare indigesto, o addirittura incomprensibile, ai giocatori meno esperti. Scordatevi le lunghissime quanto improbabili combo di Tekken o l'azione velocissima di un Dead or Alive: Virtua Fighter 5 è un titolo dal ritmo molto più compassato, un gioco delle parti in cui una mossa avventata può portare ad una rovinosa quanto dolorosa sconfitta e in cui pratica e dedizione sono le chiavi necessarie ed indispensabili per la vittoria.


Poco spazio quindi all'improvvisazione e all'avventatezza: il titolo Sega è un picchiaduro nel quale il premere furiosamente a casaccio i tasti (button smashing) potrà giusto portare, nel migliore dei casi, a qualche rudimentale sequenza di calci e pugni, lasciando quindi l'utente occasionale alquanto perplesso. Solo chi avrà la pazienza e la voglia di approfondire, spendendo molto tempo nell'utilissima modalità Dojo, potrà apprezzare la maestosità dell'impianto di gioco messo su dai ragazzi di AM 2 con tanta cura e passione. Ogni combattente di questo autentico gioiello infatti potrebbe essere raffigurato come un distinto e particolare mondo a sè stante, ognuno dei quali col suo stile caratterizzante e portatore di un esperienza totalmente differente l'uno dall'altro. Tra i diciassette lottatori presenti nel gioco sono pertanto rappresentate le più disparate arti marziali e tecniche di lotta: si passa dalle prese al tappeto del judoka Goh all'elegante Aikido della graziosa Aoi, dalla serie di serrati calci della bionda Sarah al wrestling dell'imponente Wolf fino ad arrivare all'esotico quanto imprevedibile stile dell'ubriaco dell'anziano Shun-Di. Le immancabili new entry di questo capitolo, il lottatore di Lucha Llibre El Blaze (manifesto omaggio alla star della WWE Rey Mysterio) ed Eileen, minuta ragazzina praticante il curioso Kung Fu della scimmia, si incastrano perfettamente nel vecchio cast non facendo altro che arricchire ulteriormente la varietà dei vari stili presenti e l'offerta ludica.


Passando in rassegna il sistema di controllo, abbiamo un tasto adibito ai pugni, uno ai calci e il terzo alla parata, affidando l'immancabile presa alla pressione simultanea di pugno e parata. Ed è proprio attraverso la combinazione dei tre tasti base che si passa infatti, da un sistema di controllo apparentemente basilare, ad una serie di comandi ben più complessi e articolati, i quali variano inoltre in correlazione allo stile di lotta del nostro lottatore. Anzi, se proprio si può muovere un appunto a riguardo, va sicuramente fatto contro l'eccessiva difficoltà di alcune mosse, che richiedono tempi d'esecuzione al limite dell'umano e tempistiche di difficile realizzazione; inoltre il pad del 360 purtroppo si dimostra, sia come stick analogico che come croce direzionale, davvero poco adatto e assai impreciso nell'assistere il giocatore, regalando in più di un'occasione qualche momento di sconforto e frustrazione. Per un gioco del genere l'ideale sarebbe quindi l'arcade stick (non a caso il gioco nasce ed è principalmente, come dimostra l'enorme diffusione nelle salagiochi giapponesi, un titolo Arcade) ma il suo prezzo elevato finisce per rendere l'acquisto della periferica una scelta adatta giusto ai fan più sfegatati. Guardando le varie modalità di gioco, oltre al già citato Dojo, il titolo sega propone una sezione dedicata al replay degli incontri più significativi, un arcade modo invero assai scarno, privo di filmati finali e quant'altro, e l'inedito Quest Mode. In quest'ultimo il giocatore si troverà ad affrontare un numero enorme di combattenti controllati dalla CPU, divisi in fittizie sale giochi e caratterizzati da una loro cosmesi particolare e un rank indicante la loro abilità: vincendo gli incontri, oltre a salire di rango, sarà possibile guadagnare denaro da spendere nella personalizzazione del nostro combattente, comprando nuovi indumenti, accessori, tagli di capelli e altro ancora, il tutto poi riutilizzabile negli incontri online.


Ebbene si, online. A differenza di quanto avviene su PS3, la versione Xbox 360 presenta finalmente l'opzione di sfidare in rete combattenti provenienti da ogni angolo del globo: questo, oltre a dare pieno significato e utilità all'opera di personalizzazione dell'avatar conseguibile nel Quest Mode, aggiunge ovviamente una longevità pressochè infinita al titolo, presentando continuamente nuovi avversari con i quali scontrarsi in combattimenti fortunatamente privi (nella stragrande maggioranza dei casi almeno) della benchè minima lag. Certo, la mancanza di una lobby nella quale chattare con altri giocatori e scambiarsi pareri ed opinioni, oltre alla latitanza di un watch mode attraverso il quale fare da spettatore ai combattimenti, sono pecche che si fanno sentire e alle quali si spera prima o poi venga posto rimedio tramite aggiornamento. Lacune che invece appaiono assai difficili da trovare per quanto concerne la grafica, davvero di primissimo livello: ogni lottatore è modellato con estrema cura, con capelli e vestiti a muoversi assecondando ogni sobbalzo e con la luce a riflettersi coerentemente sulle varie e dettagliatissime muscolature tramite un sapiente utilizzo degli shader. Più sottotono gli effetti sonori, apparentemente importati direttamente dal capitolo precedente, e le musiche, che nel migliore dei casi risultano totalmente anonime e trascurabili.

Virtua Fighter 5 risulta quindi la summa di quanto questo genere abbia mostrato negli anni, palesandosi come campione di tecnica e giocabilità, ma incarnando anche, probabilmente, attraverso la sua complessità e l'applicazione richiesta, tutti gli elementi che hanno trasformato nel corso degli anni i picchiaduro in un prodotto di nicchia ad uso e consumo soltanto dei videogiocatori più appassionati.

martedì 4 marzo 2008

[360] Conan


Prendete God of War. Ora prendete Kratos, mettetegli in testa una parrucca nera da capellone stile anni '80, aggiungeteci se è possibile (e lo è) più violenza, ma tanta, e quello che avrete è Conan. L'action game dei Nihilistic Software è infatti per certi versi un plagio spudorato del blockbuster Sony, e chiunque abbia preso parte alle gesta dell'antieroe ellenico non impiegherà più di un paio di minuti a rendersene conto. Il sistema di controllo è infatti, in poche parole, praticamente identico: l'unica rilevante differenza è l'inedita abilità di Conan di afferrare alcuni oggetti (barili, rocce ecc.) per scagliarli contro i nemici, e in mancanza di questi il barbaro può addirittura decidere di scaraventare contro gli avversari direttamente la sua stessa spada o persino lo scudo, nel tentativo di realizzare magari una truculenta decapitazione a distanza. Per il resto i tasti frontali ci permettono di effettuare attacchi deboli e forti, di afferrare il nemico e ovviamente di saltare, mentre il dorsale è adibito alla parata e lo stick destro alla capriola evasiva: persino il sistema di magie è preso di peso dal titolo del team di Santa Monica, con ognuna della direzioni del D-pad ad attivare un particolare incantesimo.


Fortunatamente però i ragazzi di Nihilistic non si sono limitati al mero copiare, ma anzi hanno sfruttato queste ottime basi per realizzare un sistema di combattimento appagante e sorprendentemente complesso, capace di rivaleggiare con alcuni dei più blasonati titoli del settore. Il nostro barbaro infatti, grazie alla capacità di impadronirsi delle armi avversarie, è in grado di cambiare in ogni momento il suo modo di combattere, ora macinando gruppi di avversari con due asce, ora affrontando un nemico più coriaceo mulinando un grosso spadone a due mani. Ognuno dei tre stili (spada e scudo, doppia arma, arma a due mani) ha le sue combo, da apprendere mediante la raccolta degli immancabili red orb, e sopratutto ha i suoi vantaggi e svantaggi, con la scelta della giusta configurazione a divenire discriminante fondamentale per aver la meglio contro determinati nemici. Gli attacchi in dual wield sono estremamente veloci e scatenano furiose combo in grado di falciare interi gruppi di nemici, ma risultato totalmente inadatti a sfondare le difese di uno scudo. Usando un'arma a due mani si menano fendenti lenti ma estremamente potenti, capaci di mandare in frantumi le difese degli avversari più corazzati senza troppi problemi, mentre lo stile con spada e scudo si basa di più sulla difesa e su una serie di combo capaci di disarmare l'avversario e di disorientarlo, risultando forse come lo stile più tecnico dei tre.


Come detto ogni stile ha le sue combo da apprendere mediante l'acquisizione di red orb, reperibili in forzieri ed elargiti sia dai nemici uccisi che, in puro stile Conan (?), in seguito alla liberazione di seducenti quanto svestite fanciulle, le quali non mancheranno di fare apprezzamenti ammiccanti sul rude Cimmero. Inoltre l'uso prolungato di una determinata serie di attacchi farà salire l'abilità del barbaro in quella specifica combo, aumentandone i danni o conferendole effetti bonus, permettendo in questo modo al giocatore di costruirsi un suo personale set di mosse preferite. Altra gradevole novità è la presenza di una sorta di sistema di parry: in pratica, premendo il tasto parata al momento giusto, Conan sarà in grado di eseguire tramite un QTE una spettacolare contromossa e di uccidere istantaneamente l'avversario con estrema efferatezza, ponendo così immediatamente fine allo scontro. A proposito di efferatezza, è impossibile non spendere due parole sulla violenza grafica di questo titolo: come è lecito aspettarsi da un simile personaggio Conan non mostra alcun riguardo nè pietà verso i suoi assalitori, e tra arti mozzati, decapitazioni e sbudellamenti a mani nude, ogni scontro si tramuta in un autentico "gore fest", risultando in uno spettacolo decisamente inadatto quindi ai palati più delicati. Promosso dunque sul lato dei controlli e del complesso sistema di combattimento, il titolo Nihilist mostra il fianco alla critiche per un level design davvero poco ispirato, ponendo il giocatore continuamente in situazioni di gioco le une simili alle altre e mandandogli contro sempre le stesse due-tre tipologie di nemici, anche se sempre abbastanza coriacei.


Dove il gioco prova a stupire è con gli immancabili boss di fine livello: imponenti ed esagerati come da recente tradizione, questi vanno da un maestoso drago di sabbia ad uno zombie elefante passando per un kraken gigante, ma l'eccessiva presenza di QTE (altro rimando a God of War) finisce però per omologarne ed appiattirne fin troppo l'esperienza. Altra pecca di design è riscontrabile in un livello di difficoltà assolutamente mal calibrato, con le ultime fasi di gioco a presentare un improvviso quanto brutale innalzamento della stessa, dando seguito a momenti di intensa frustrazione tali da far scaturire il pensiero che ciò sia stato fatto per aumentare forzatamente la longevità di un titolo in realtà assai breve (si parla di 6-7 ore). Altro tasto dolente è la realizzazione tecnica che, a fronte di un framerate solido e di pregevoli effetti di luce, mostra texture di bassa qualità e una mole poligonale non proprio da next-gen, dato questo evidente durante le cut-scene, davvero di infima fattura. Meglio il sonoro, con musiche incalzanti e d'atmosfera, ed effetti che vanno dal clangore delle armi alle urla di dolore dei nostri avversari: anonimo invece il doppiaggio in italiano, figlio dello già scadente originale inglese. Un ultima parola va spesa sulla trama: per quanto sia grato ai Nihilistic per essersi ispirati direttamente ai romanzi di Howard, presentandoci un Conan molto simile a quello dei fumetti della Dark Horse (e di conseguenza molto lontano da un certo governatore californiano) per quanto riguarda caratterizzazione fisica, l'intreccio che sta alla base della nostra avventura non può che deludere e lasciare indifferenti, risultando in un mero pretesto per menare le mani. E Nonostante la trama non sia ovviamente un requisito fondamentale in un action game, il non aver affatto sfruttato l'ampio serbatoio di idee e situazioni presenti nei vari scritti di Howard lascia comunque l'amaro in bocca.

In definitiva quindi Conan è un action game senza troppe pretese, dotato di un buon sistema di combattimento e di un azione appagante e brutale, ma carente in tutti quegli altri aspetti fondamentali per lasciare un'impronta duratura nelle menti e nei cuori dei giocatori.