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domenica 29 giugno 2008

[Cinema] Wanted

Wesley Gibson (James McAvoy) è uno sfigato di proporzioni monumentali. Anonimo impiegato in una grande azienda, Wes è vessato sul posto di lavoro dalle angherie della sua dirigente obesa e sguaiata, mentre a casa la sua petulante ragazza si intrattiene in esercizi aerobici a due col collega e presunto migliore amico dell’ipocondriaco fidanzato. Ad arrivare in suo soccorso e a salvarlo da cotanta miseria sarà però niente di meno che l’abbagliante Angelina Jolie, che nelle vesti di una tatuatissima killer svelerà a Wes la vera natura del suo io, introducendolo ad una millenaria confraternita di assassini istituita per mantenere, attraverso degli omicidi preventivi, il giusto equilibrio nel mondo. Qui Wes, mediante abbondanti sedute di pugni in faccia e coltellate nello stomaco, verrà istruito alla sacra arte dell’omicidio, con lo scopo di vendicare il padre mai conosciuto ucciso a tradimento da un super killer disertore e seguendo nel mentre le regole dettate da Morgan Freeman e il suo mistico telaio del destino. Ma staranno veramente così le cose? E Angelina Jolie ci sta o no? Toccherà al prode Wes svelare questi e altri arcani.

Invece di essere rinchiuso in uno shuttle e sparato nel centro del Sole per espiare i crimini commessi con la realizzazione dei Guardiani della Notte e relativo seguito diurno, il regista kazako Timur Bekmambetov è stato al contrario premiato per quanto realizzato con i due kolossal russi, vedendosi così affidata in premio la trasposizione cinematografica di questa famosa graphic novel firmata dal geniale Mark Millar. Peccato che premesse, personaggi e trama dell’opera originale vengano stravolti senza alcun rispetto né apparente valida motivazione, dando di contro spazio ad una sceneggiatura inedita dalla caratura a dir poco infima, che sparge a piene mani trovate spazianti dal ridicolo al grottesco senza soluzione di continuità. Cancellata quindi con un rapido colpo di spugna l’intelaiatura originale, quello che resta solo in parte è l’azione frenetica e travolgente del comic, portata qui su schermo con coreografie ai confini della realtà ed effetti speciali figli della rivoluzione iconografica scoppiata con Matrix.

Peccato però che la pellicola fatichi tremendamente a tenere insieme le fasi action, annaspando senza riposo nel trovare un filo conduttore che possa svegliare dal torpore ogni volta che dalle scazzottate e sparatorie varie si passi ai dialoghi e alla recitazione vera e propria. A conti fatti, una volta assistita alla formidabile scena d’apertura, il film precipita inesorabilmente in una vorticosa spirale di mediocrità, con l’incipit così a segnare non solo il canto del cigno del padre di Wes, ma anche quello di tutta la pellicola nella sua interezza.

mercoledì 25 giugno 2008

[360] Dragon Ball Z: Burst Limit


Anno nuovo e nuovo gioco di Dragon Ball che immancabilmente fa capolino nei negozi di mezzo mondo. Puntuale ormai da ben sette anni, Bandai ci ripropone così l’ennesimo picchiaduro basato sugli apparentemente immortali personaggi partoriti dalla fervida mente del mangaka Akira Toriyama, affidando il compito di far approdare la serie nei rigogliosi lidi della next gen alle sapienti mani dei ragazzi di Dimps. Il risultato è un ritorno agli stilemi di un picchiaduro più classico, più simile quindi ai vecchi Budokai che alla recente trilogia dei Tenkaichi di origine Spike, ma nello stesso tempo estremamente fedele all’opera originaria e capace di ricreare con didascalica verosimiglianza i combattimenti e le imprese di Goku e compagni.

Maledetta scimmia Saiyan


La modalità principale di questo Dragon Ball Z Burst Limit è, abbastanza prevedibilmente, l’immancabile Story Mode, elemento imprescindibile per ogni gioco di Dragon Ball che si rispetti. Qui rinominato Z Chronicles, la trama prenderà il via dall’incontro di Goku e Piccolo con il Saiyan Radish e proseguirà attraverso tre saghe, concludendosi con l’epico scontro finale tra il giovane Gohan e lo spietato Cell. Già, proprio con il cyborg mutante creato dalla folle mente del dottor Gero. Fuori dalla trama, e ovviamente dal gioco, resta tutta la saga di Majin Buu e relativi personaggi, una scelta giustificata dai produttori con la difficoltà di inserire nel gioco in tempi stretti elementi complessi come la fusione (o Fusion) tra i vari personaggi ma che in realtà appare davvero ingiustificabile e motivata solamente da precise scelte di marketing (e qui il pensiero va allo scontato seguito). Inoltre, seppur tecnicamente davvero ben realizzate, le scene atte a spiegare lo svolgimento della storia risultano spesso imprecise rispetto all’opera originale e scarsamente esplicative, con il risultato di rendere la trama totalmente incomprensibile a chi non conosca già almeno superficialmente il manga o l’anime.

E’ tutto qui quello che sai fare?


Come già accennato in precedenza, la mancanza della saga di Majin Buu ha portato ad una drastica riduzione dei personaggi giocabili presenti, passati dagli oltre 150 dell’ultimo Tenkaichi ai 21 (trasformazioni escluse) di questo Burst Limit, numero che potrebbe indurre allo sconforto la maggior parte dei fan e che soffre di alcune scelte di cast di difficile comprensione (la presenza degli inutili Saibamen a scapito di Zarbon resta un mistero). A risollevare la situazione però ci pensa finalmente una vera diversificazione del cast, con personaggi dotati tutti di proprie mosse specifiche (seppur i comandi restino comuni per tutti) e di propri punti di forza e debolezza: così, se ad esempio Crilin compensa la sua scarsa potenza combattiva con la possibilità di accecare i nemici col suo Tayoken e colpirli poi indisturbato, Broli di contro paga la sua straripante forza bruta e la supremazia nei colpi energetici con un’evidente lentezza nei movimenti e nel corpo e corpo. Ancora più curato risulta il sistema di combattimento, campo in cui i Dimps avevano affermato di essersi focalizzati più a lungo e i cui risultati sembrano dargli ampiamente ragione. Con due tasti deputati ai colpi ravvicinati, uno ai colpi d’aura e uno alla parata, il gameplay risulta ad una prima prova estremamente intuitivo, permettendo così a chiunque di prendere in mano il pad e divertirsi sin da subito, ma celando sotto questa scorza di apparente semplicità una natura discretamente complessa.


Ecco quindi far la loro apparizione le varie guard breaker, schivate, ultimate guard in grado di prevenire i danni derivanti da un mossa speciale estremamente potente e la possibilità di concatenare attacchi ad inseguimento con tanto di spettacolare teletrasporto. Inoltre, oltre alle varie trasformazioni eseguibili durante il combattimento, il gioco introduce un nuovo elemento denominato Aura Spark: eseguibile solamente previo riempimento l’indicatore del Ki (che qui ricordiamo si riempie automaticamente), una volta in questo stato il nostro personaggio sarà interamente avvolto da una sfavillante inondazione di aura, aumentando di conseguenza potenza di attacco e difesa e garantendo la possibilità di eseguire nuovi e spettacolari attacchi. Infine, probabilmente la novità più eclatante inserita nel gioco è la presenza dei Drama Pieces, scene animate attivate automaticamente durante il combattimento che offrono al giocatore vari bonus e ricreano allo stesso tempo, in maniera ancora più fedele, il feeling del cartone animato citando a più riprese alcune delle frasi e della situazioni più famigerate presenti in esso.


Se dunque il sistema di combattimento di Burst Limit si impone nettamente come il migliore di sempre rispetto agli altri episodi della serie, riuscendo nel difficile tentativo di coniugare l’azione esagerata e iperbolica dell’anime ad un gameplay comunque sufficientemente tecnico e ragionato, restano presenti comunque alcuni difetti, tra i quali vanno menzionati lo scarso bilanciamento di personaggi e mosse speciali, con alcune a risultare davvero troppo potenti ed efficaci, e la mancanza quasi totale di interazione con l’ambiente, pecca questa più scenica che altro ma che certo si fa sentire. Inoltre, l’aver eliminato la necessità di caricare manualmente la barra del Ki in congiunzione alla possibilità di eseguire attacchi energetici senza intaccare la stessa, può consentire lo spam (uso reiterato) di questi attacchi, eventualità che in particolar modo negli scontri online può risultare decisamente fastidiosa e seccante.

Non credo ai miei occhi…non può essere vero..


Tecnicamente, per tutti gli appassionati di questo eterno pezzo di cultura pop che ormai è diventata l’opera di Akira Toriyama, Burst Limit è un titolo assolutamente sbalorditivo. I prestanti muscoli metallici delle console di nuova generazione infatti hanno permesso l’utilizzo di un cel shading che come resa finale supera addirittura, e di gran lunga, l’anime originale (ormai ampiamente datato), sfornando uno spettacolo pirotecnico composto da animazioni estremamente fluide e veloci e personaggi definiti ed espressivi. Vedere Goku in preda alla collera trasformarsi in Super Saiyan e battersi contro Freezer con sullo sfondo un pianeta Namec ormai morente è una visione che non potrà non far scorrere un brivido di nostalgia nei cuori dei fan più sfegatati, i quali si ritroveranno davanti ai loro occhi gli eroi di una vita come mai li avevano visti prima. Unico appunto che si può fare al comparto grafico, oltre alla già menzionata mancanza di interazione con il fondale, è una certa scarsità di dettagli presenti nei vari stage, caratteristica che però era propria anche delle tavole originarie. Parlando del sonoro, a fronte della presenza del duplice doppiaggio inglese-giapponese di ottima fattura, va menzionata purtroppo l’ostinazione con la quale Atari continua a sostituire la colonna sonora giapponese, composta tutti da brani direttamente presi dall’anime e dai vari OAV, con un esiguo mix di brani techno di mediocre fattura che non sempre si sposano bene con l’azione su schermo.


Commento finale

Dragon Ball Z: Burst Limit segna un nuovo inizio per le avventure di Goku, Vegeta e soci nel mondo dei videogiochi, e lo fa partendo indubbiamente con il piede giusto. A fronte di uno Story Mode incompleto e di un parco combattenti sin troppo esiguo abbiamo infatti probabilmente il miglior sistema di combattimento che sia mai stato ideato per un gioco di Dragon Ball, al quale si accompagna una realizzazione tecnica che supera per definizione e spettacolarità l’opera originale.

lunedì 16 giugno 2008

[Cinema] L'incredibile Hulk

Hulk arrabbiato. Hulk spacca tutto. Hulk tornato! Lasciato a battagliare con milizie governative nel cuore dell’Amazzonia nel finale del film precedente, Bruce Banner e il suo incontrollabile alter ego tornano nuovamente sul grande schermo per riparare ad ogni torno, con in testa il neanche troppo celato obbiettivo di segnare con questa pellicola un nuovo inizio per il verde peso massimo Marvel. L’esordio firmato dalla celebre mano di Ang Lee infatti, regista di capolavori quali Brokeback Mountain e La tigre e il dragone, seppur stupendo la critica per l’inaspettata cura riposta nell’approfondimento della psicologia dei protagonisti e nell’elaborazione di una trama articolata e ben congegnata, al botteghino non riscontrò certamente il successo sperato, finendo per coprire di poco le spese del film. Memore di tutto ciò, per questo seguito Marvel Studios ha optato quindi per brusco cambio di rotta. Al bando i complessi edipici, scordatevi drammi familiari e conflitti interiori e date il benvenuto a quasi due ore di esplosioni, urla e tante, tantissime botte.

La trama formato Bignami. Bruce Banner (Edward Norton) si è rifugiato nelle labirintiche favelas brasiliane, dove si guadagna da vivere in una fabbrica di bibite mentre cerca un sistema per liberarsi una volta per tutte del suo ingombrante ospite. Per via di una banale incidente sul posto di lavoro però verrà immediatamente rintracciato e braccato dalle forze militari americane, guidate dalle retrovia dal generale Ross e capitanate sul campo da un esaltato Tim Roth, un reduce di mille battaglie incapace di andarsene placidamente in pensione nei boschi ad uccidere qualche cervo e ideare trappole letali. Barcamenandosi da un buco di sceneggiatura all’altro e impreziosito da qualche dialogo strappa sbadiglio tra il nostro eroe bifronte e Betty Ross (qui interpretata dalla giunonica Liv Tyler), il film si trascinerà stancamente fino all’immancabile duello finale e al consueto lieto (non) fine.

Louis Leterriere (Danny the Dog, Transporter: Extreme) si dimostra ancora una volta regista di cinetica e visionaria immaginazione, dando vita a scene d’azione dall’alto tasso spettacolare e presentandoci un Hulk mai così imponente e combattivo. Se quindi il cineasta francese se la cava alla grande viaggiando ad acceleratore spianato, quando scende il ritmo però sbanda paurosamente, regalandoci (ne avremmo fatto a meno) lunghi momenti di anonimato, caratterizzati da situazioni caricaturali segnate da una sfrontata banalità e personaggi in continua ricerca d’autore. Non è chiaro di chi sia la responsabilità: se della sceneggiatura, del montaggio tanto criticato da Norton (il quale da canto suo fa ben poco per dare spessore al povero Bruce) o dell’uomo dietro la macchina da presa. Fatto sta che, non appena la preziosa magic box degli effetti speciali smette di proiettare il suo caleidoscopico carnevale, il film inevitabilmente sprofondi in un monocorde grigiore dal quale non vi è uscita alcuna.

L’incredibile Hulk è quindi il più classico dei popcorn movie, e probabilmente farà la gioia di molti degli appassionati dell’eroe al pistacchio Marvel e di tutti coloro alla ricerca di una pellicola fracassona a scarso contenuto cerebrale ed originale. Per tutti gli altri, il consiglio è di ponderare bene prima di mettere piede su questa giostra.

venerdì 13 giugno 2008

[Cinema] Dante 01

Il cinema francese si sa, si segnala per un certo eclettismo. A differenza dei registi nostrani, ancorati e obbligati dalle circostanze ad orbitare sempre intorno ai medesimi temi, i cari cugini d’oltre alpe si cimentano ormai da diverso tempo in vari generi, spaziando abbastanza agilmente da originali commedie ad action movie dal tipico retrogusto yankee. Con Dante 01 il regista Marc Caro tenta così di abbattere l’ultima barriera, lo spazio, realizzando un film di fantascienza visionario e pervaso da un inesplicato fervore religioso, dotato di effetti speciali metafisici e intangibili e impreziosito da personaggi monocorde e monosillabici.

La trama in poche parole. In una prigione spaziale ai confini del creato, una gaudente comunità di super criminali viene sconvolta dall’arrivo di un misterioso detenuto (Lamber Wilson) dotato di esoterici poteri, tra i quali spicca in particolare la strabiliante abilità di non proferire mezza parola per tutta la durata del film. Nell’immobilismo generale e tra la costernazione dello sfortunato pubblico in sala, il nostro eroe si barcamenerà tra estrazioni di metafisici “mostri-polpo” dai corpi dei propri compagni e scazzottate con l’immancabile capo branco invidioso e ottuso, per giungere infine all’incomprensibile ma liberatorio finale. E’ difficile capire cosa volesse realizzare il regista con questo suo film: tra continui riferimenti messianici ed elucubrazioni su nanomacchine e libero arbitrio, la pellicola ambisce ad elevarsi ad uno status quasi filosofico, ma alla prova dei fatti risulta avere lo stesso spessore intellettuale di una scimmia sparata nello spazio. Ovvero un’idiozia totale.

giovedì 12 giugno 2008

[Cinema] E venne il giorno

Tutto si può dire, tranne che gli Americani siano fortunati nei film. Negli anni hanno dovuto contrastare invasioni di alieni, rispondere ad attacchi terroristici, sopportare la devastazione causata da un’abnorme lucertola radioattiva e fare i conti con un gorilla gigante con il debole per le biondine. E questo solo citando i casi più eclatanti. Ma niente di quanto vissuto in passato poteva preparali per questa nuova, terribile minaccia. All’orizzonte, immobile, impassibile, ecco apparire la nemesi più terrificante. Il nemico più implacabile. Le piante.

Elliot Moore (Mark Wahlberg), professore con il pallino delle notizie improbabili, è nel mezzo di una sua lezione quando nella scuola piomba una voce sconcertante. Apparentemente, qualcuno o qualcosa è riuscito a sovvertire l’istinto di conservazione intrinseco della nostra specie, inducendo le persone a porre fine alla propria vita nei modi più brutali e truculenti possibili. Come una macchia d’olio, l’onda di suicidi si espande inesorabilmente e senza lasciare scampo, ed Elliot dovrà trovare, insieme alla moglie Alma (Zooey Deschanel), un modo per sfuggire da questa sorta di imperante e contagiosa follia collettiva. Messi con le spalle al muro, i due coniugi finiranno per piombare nell’America più isolata e bigotta e, nel massimo momento di difficoltà, ritroveranno quell’affiatamento e quel sentimento da lungo tempo sopiti.

Dopo una serie di film decisamente più introspettivi e intimistici, M. Night Shyamalan (Il sesto senso, Signs) approda anch’egli al genere catastrofico, rifacendosi a classici del passato quali L’invasione degli ultracorpi ma aggiornando il tutto con un tema molto in voga al momento quale appunto è lo stato del nostro pianeta e la difficile convivenza tra uomo e natura, ricordando indirettamente un’altra recente pellicola come L’alba del giorno dopo. Il regista di origine indiana dimostra ancora una volta di saperci fare eccome con la macchina da presa, mettendo in scena una prima frazione ad alto tasso ansiogeno, con lo spettatore sconcertato da questa inspiegabile serie di uccisioni e assediato anch’egli, esattamente come i protagonisti del film, da un nemico tanto implacabile quanto intangibile.

Peccato però che, una volta appurato che a causare tutto questo siano in effetti delle semplici piante, la tensione magicamente evapori come la mai troppo citata neve al sole, regalando di contro momenti di involontaria e dissonante comicità e mostrando inevitabilmente le pecche di una sceneggiatura appena abbozzata, e a poco serve in ultima analisi l’escamotage di situazioni e personaggi plasmati ad hoc per mantenere alto il livello di adrenalina di chi assiste in poltrona. Un’occasione sprecata quindi, un film che manca il bersaglio gettando fin troppo presto la maschera e rivelando così un volto che non potrà che lasciare interdetti tutti fan dell’una volta geniale cineasta indiano, ormai ufficialmente smarritosi in un mare di grigia mediocrità Hollywoodiana.