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giovedì 17 aprile 2008

[Cinema] L'Amore Non Basta


Martina (Giovanna Mezzogiorno) è un’assistente di volo dal destino incerto, divisa tra la sua carriera lavorativa ed un percorso universitario che proprio non riesce a completare. Un giorno, durante un viaggio di linea, si imbatte in Angelo (Alessandro Tiberi), un ragazzo timido e sognatore, che come lei vive in un piccolo paese dell’Abruzzo e del quale rinviene il diario d’amore, dimenticato da lui sull’aereo. Sfogliandolo, e leggendo le dolci parole scritte da Angelo, Martina sembra sviluppare un sentimento d’amore per il ragazzo, sentimento in realtà preesistente, perché i due si amano già da tempo e portano avanti una relazione costellata di continui addii e riconciliazioni.

L’Amore non basta è una pellicola sospesa, un insieme di personaggi apparentemente senza copione, dove la macchina da presa non traccia un selciato ma dà anima e respiro a situazioni, conflitti, turbamenti che si mescolano in un lento vortice di emozioni e fragorosi silenzi. Stefano Chiantini non vuole imprimere nessuna direzione particolare alla sua opera, ma mettere semplicemente in scena la vita per quello che è, con l’incomunicabilità e l’isolamento tipici del nostro tempo, il disorientamento, la dicotomia tra il reale e l’onirico. Così abbiamo Angelo che, mentre sogna di affermarsi come scrittore, passa da un lavoro saltuario all’altro discutendo animatamente e chiedendo continuamente consiglio a Rocco Papaleo, qui negli eterei panni di amico immaginario. Proprio il personaggio di Alessandro Tiberi è una delle note più originali del film, ricordando alla lontana altri figure sconnesse, in particolare lo Stephane di L’arte del Sogno, mancando completamente però dello splendore immaginifico e della potenza visionaria di cui era dotato il protagonista dell’opera di Michel Gondry.

E’ proprio nella sua godibilità che risiede alla fine dei conti il tallone d’Achille di tutta quanta l’architettura messa su da Stefano Chiantini. Nonostante infatti alcune pennellate di colore sapientemente date dalle presenza scenica di Papaleo, il film soffre del suo incedere lento ed errabondo, con gli eventi quasi a ristagnare nei claustrofobici vicoli di una città d’Aquila appena tratteggiata e con lo spettatore a rischio di perdersi anch’egli tra le fobie e le illusioni di Angelo e Martina, ai quali in ultima istanza l’amore, davvero, non basta proprio.

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