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mercoledì 22 giugno 2011

[360] Assassin's Creed Brotherhood


Filler è un termine inglese che significa "riempitivo" e che, nel mondo dei media indica una parte di un'opera che non è coerente, o che lo è solo debolmente, con il resto della stessa. I motivi per l'inserimento dei filler sono molteplici.

Perché iniziare la recensione di Assassin’s Creed Brotherhood con la definizione del termine filler, tra l’altro presa di peso da Wikipedia? Perché questa nuova avventura del buon Ezio Auditore da Firenze è proprio un riempitivo, filler appunto, un gioco che non aggiunge nulla all’intreccio narrativo portato avanti dai due predecessori, e che quindi basa la sua ragion d’essere esclusivamente sul gameplay. Aspetto che, abbastanza notoriamente, non è mai stato proprio il punto forte della serie Ubisoft.


La trama in poche parole. Dopo aver strappato finalmente dalle mani dei Borgia la tanto agognata mela, Ezio Auditore vede bene di farsela fregare cinque minuti dopo proprio dagli stessi Borgia, e per questo dovrà recarsi a Roma nel tentativo di recuperarla un’ennesima volta. Tutta l’avventura è quindi incentrata sul porre fine all’esistenza dei due Borgia, padre e figlio, in un contesto che si segnala per l’assoluta mancanza di altri personaggi degni di rilievo. Per tutta la durata del gioco si avrà di fatto a che fare con missioni minori, uccisioni di personaggi del calibro del macellaio, il fabbro, il “cecchino” (…) e altre simili nullità dotate di personalità pressoche nulle e con sottotrame del tutto inesistenti. Assenti quindi gli intrighi, i doppi giochi, le disquisizioni su vita, morte e religione presenti nei due titoli precedenti, e con essi spariscono, cosa ancor più grave, un design delle varie missioni un minimo elaborato ed avvincente.

Quello che resta quindi è il gameplay, che qui si ripresenta con gli stessi cronici problemi di sempre. Le sezioni di “parkour” sono sempre avvincenti e frenetiche quando tutto fila per il verso giusto, ovvero quando si segue il percorso prestabilito a tavolino dai programmatori. Ma appena si esce dal selciato, ritornano i problemi di un sistema di controllo contestuale, che lascia all’ambiente e non al giocatore il vero controllo delle azioni di Ezio. D’altra parte, il combattimento torna sostanzialmente invariato: di nuovo c’è la balestra, di fatto una versione potenziata dei pugnali da lancio, e la possibilità di concatenare uccisioni dopo aver effettuato il primo assassinio.


Ubisoft ha evidentemente, e lodevolmente tentato di mettere più carne al fuoco possibile sotto il mero profilo di gioco. Ogni zona di Roma è controllata dai Borgia, e per liberarla va abbattuta una torre previo prima aver ucciso il comandante di zona. Ritorna Leonardo con i suoi avveniristici gadget, e questa volta dovremmo anche andare in missione per distruggere alcune delle sue macchine belliche, finite nelle pericolose mani del nemico. Tornano anche le sezioni puramente d’esplorazione e platform, qui denominate “le tombe di Romolo”, e vi è l’opportunità di assoldare e addestrare reclute per farli pian piano diventare degli spietati assassini.

Tutto questo fa si che cose da fare non manchino davvero mai. Quello che manca, o che è mancato per me, è il coinvolgimento emotivo da parte del giocatore in tutto questo, e senza questo indispensabile fattore i limiti e i difetti risultano molto più evidenti di quanto potessero apparire in AC2. Roma è realizzata davvero splendidamente, specialmente in alcuni dei suoi luoghi più caratteristici e famosi (entrare per la prima volta nel Pantheon è davvero qualcosa di speciale), ma la corruzione, gli intrighi, la sofferenza che dovrebbe attanagliarla non vengono mai veicolati convincentemente.

Senza tirarla ancora per le lunghe, Assassin’s Creed Brotherhood è un titolo poco più che discreto. Nonostante l’aggiunta di molti elementi positivi (menzione speciale per il multiplayer, davvero carino), l’insignificanza della trama di questo episodio e il lacunoso design delle missioni mettono in luce gli strutturali limiti del gameplay, dando corpo ad un’esperienza perlopiù dimenticabile, se non addirittura frustrante in taluni frangenti.

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